È datata 26 aprile 2019, a firma Juri Imeri, l’ordinanza comunale che vieta la richiesta di elemosina sul territorio trevigliese. In un solco già tracciato che vede impiegati gli apparati dello Stato (polizia, magistratura, ecc) nella guerra ai poveri piuttosto che alla povertà. La concezione che sottende questa ed altre misure antiproletarie (seppur mascherate da una retorica che le vorrebbe a loro difesa) ci riporta drammaticamente indietro di qualche secolo: la presenza dei poveri deriverebbe dall’ordine naturale delle cose. In questo senso non è affare di Stato se non per la parte legata al mantenimento dell’ordine pubblico. Una questione di ordine pubblico, quindi,da delegare per la sua parte “sociale” alla beneficenza ecclesiastica e all’iniziativa privata. Le cui azioni non sono chiaramente volte ad eliminare la povertà, né tanto meno le sue cause, ma piuttosto ad attenuarne le drammatiche conseguenze sui singoli e svolgere la funzione di calmiere delle tensioni sociali che derivano direttamente dall’incremento delle disuguaglianze.
Non nascondiamo che dietro alla volontà di difendere il pubblico decoro ci siano anche larghi interessi economici, togliere il fenomeno “dalla pubblica via” non ha niente a che vedere con eliminarne le cause, ma piuttosto tentare di nasconderlo all’occhio.
Come chi la chiede non siamo a favore dell’elemosina, ma ci chiediamo a chi spetti (se non alla classe lavoratrice stessa) restituire all’umanità la verità per la quale la povertà non è condizione naturale dell’essere umano, ma è una condizione storicamente data, per cui ci sono cause ed anche colpevoli. Le disuguaglianze sociali sono il prodotto di quello stesso sistema economico difeso da leggi e ordinanze. Non sarà il Reddito di Cittadinanza né la quota 100 a smentire questa realtà.
Per la rendita immobiliare, per la banca e il centro commerciale il voler unicamente eliminare il povero alla vista del cliente assume un senso logico, seppur meschino. A noi lavoratori interessa eliminare la povertà e lo sfruttamento. Se diciamo che non ci piace subire un’insistente richiesta di elemosina è perché noi non ci riteniamo colpevoli dell’esistenza della povertà, siamo anzi i primi a subirne le conseguenze. A chi, anche tra i lavoratori, si fa portavoce della divisione degli oppressi, rispondendo alla chiamata del capitalismo e delle classi dirigenti nella guerra contro tutti gli altri sfruttati, spetta il lercio posto di servitore degli interessi di qualcun altro.
L’ordinanza che proibisce l’elemosina e invita alla beneficenza attraverso enti privati è un altro mattone posto sul muro della secolare divisione in classi della società, a difesa dei più ricchi, a fare in modo che questa permanga, ancora e ancora…
Il nostro compito non è quello di fare, né di garantire, la beneficenza verso i più poveri (veri o finti che siano), ma indicare gli strumenti utili, attraverso l’autorganizzazione, a tutti i lavoratori, per uscire dal giogo dello sfruttamento e della divisione in classi della società. Con ciò finirla per sempre con guerra tra poveri e povertà.
Collettivo TanaLiberaTutti