L’ANTIFASCISMO IN TEMPO DI CRISI
Come ogni anno al 25 aprile, giorno della liberazione, si assiste alle manifestazioni istituzionali in ricordo della vittoria contro la dittatura (come spesso viene riduttivamente definita) e della fine della guerra. Manifestazioni che ogni anno nella loro gelida formalità appaiono sempre più distanti e slacciate da quello che dovrebbe essere il vero significato di questa ricorrenza. I vuoti discorsi di sindaci palesemente fuori luogo per idee e storia personale nei cortei cittadini dimostrano quanto ci si è allontanati da chi coi fatti e col sacrificio della propria vita ha lottato contro un sistema votato alla repressione delle classi sociali più deboli.
I partigiani che lottarono sui monti e nelle città italiane appartenevano agli stessi fronti politici che nei primi anni venti, nel cosiddetto biennio rosso, fecero vacillare i poteri forti italiani con due anni di lotte nelle fabbriche atte a rivendicare una vita migliore e libera dall’oppressione capitalista che li schiacciava nella miseria e nella gabbia del lavoro, quegli stessi poteri forti che sentendo minacciati i loro sporchi interessi si resero responsabili della presa di potere del fascismo.
E’ dunque il capitalismo la causa principale che concimò i movimenti di repressione fascisti, ed è contro questo sistema e contro i suoi esponenti che, finita la guerra, alcuni dei partigiani volevano combattere ancora.
Vivendo oggi una situazione di pesante crisi del sistema capitalista (imputabile a nessun altro che a se stesso e alle politiche che l’hanno sostenuto) le classi più deboli si ritrovano nuovamente a doverne pagare il prezzo. “Il costo del lavoro dev’essere abbassato ed il lavoratore dev’essere flessibile”, queste sono le condizioni imposteci dai vari governi per uscire dalla crisi. Stipendi da fame e precarietà fanno sì che la classe dirigente possa ritornare a far profitto nella maniera desiderata, portando i lavoratori a livelli di vita ben al di sotto di quelli pre-crisi. L’uscita dalla crisi si traduce quindi in un peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Condizione che va continuamente peggiorando, basti vedere i dati allarmanti sul lavoro precario, la cassa-integrazione e la disoccupazione, i quali ripercuotendosi sul reddito di una famiglia a loro volta generano l’impossibilità di vivere degnamente e spesso anche di mantenersi una casa in cui vivere (ce lo dimostra il crescente numero di sfratti per morosità).
Senza una risposta dei lavoratori che subiscono queste politiche, la classe dirigente e padronale cerca su ogni fronte di estirpare il massimo profitto, a discapito delle condizioni di vita di tutti.
Questo lo vediamo nella sanità, che da pubblica diventa semplice merce gestita dai privati. Questo lo vediamo nella gestione del territorio: i privati, con la complicità delle istituzioni, investono solo su grandi opere che servono a pochi, a discapito del trasporto pubblico per i pendolari. Questo lo vediamo nell’istruzione che da una parte è sempre più asservita ai bisogni delle aziende, dall’altra vede lo smantellamento del diritto allo studio. Questo lo vediamo nella gestione degli spazi pubblici, che vengono privatizzati o venduti, cosicchè la socialità tra le persone si viva solo nei posti da cui qualcuno ne posso trarre profitto.
Ogni aspetto della vita di un individuo è dunque condizionato dalla ricerca del profitto da parte delle classi dominanti, che se ne fregano delle conseguenze che poi la stragrande parte della popolazione si ritrova a pagare sulla propria pelle. Il sistema economico/politico che è causa di tutto ciò è lo stesso che spinse molti giovani a salire in montagna col fucile. Come un tempo i partigiani in montagna hanno combattuto contro il fascismo (e il capitalismo che l’ha generato) anche noi oggi per migliorare le gravi condizioni in cui ci troviamo, dobbiamo organizzarci nei quartieri, nei posti di lavoro e nelle scuole facendo fronte comune contro chi ci sfrutta e devasta i territori in nome di un profitto per pochi.
Collettivo TanaLiberaTutt*