Fin dalle prime avvisaglie dell’epidemia i padroni delle industrie e i sindaci delle nostre città non hanno fatto altro che dire che non ci si fermava e che tutto sarebbe andato bene.
Non ci si poteva fermare nella bergamasca perché Confindustria ha qui concentrata la gran parte degli stabilimenti produttivi del paese: chiudere vorrebbe dire perdere profitti. Tutto questo è stato detto chiaro e tondo innumerevoli volte.
Anche ora, quando ormai i morti sono all’ordine del giorno, fabbriche e uffici continuano a rimanere aperti e molti lavoratori devono continuare a prestare servizio. Il governo ha valutato il rischio della vita per chi lavora a 100 euro e nemmeno per tutti i lavoratori.
Dove i lavoratori si sono rifiutati di lavorare – organizzati o meno, chi con la malattia, chi con scioperi spontanei, chi con il proprio sindacato – è stato possibile rompere il ricatto tra la salute (o anche la vita) e il lavoro.
Forse sembra che ora non si possa far altro che lavorare nel rischio e stare agli ordini di capi e capetti. Ma ci sarà sempre un modo per ribellarsi.